La Ford Nucleon doveva fare 8000 km con un solo “pieno” di uranio. Fu presentata nel 1958, restò un modellino in scala 3/8, non venne mai costruita. Il motivo? Nessuno aveva capito come miniaturizzare un reattore nucleare, proteggere i passeggeri dalle radiazioni e gestire le tonnellate di piombo necessarie per la schermatura.
Tra gli ingegneri e il sogno atomico c’era la fisica, quella vera, non quella dei comunicati stampa. Per questo la puntata odierna de “Il futuro di ieri” ti offre la Nucleon: rappresenta perfettamente l’ottimismo tecnologico e nucleare degli anni ’50: audace, visionario e (piccolo dettaglio) completamente disconnesso dalla realtà ingegneristica.
Come funzionava (sulla carta) la Ford Nucleon
Il progetto prevedeva un piccolo reattore a fissione nucleare posizionato nella parte posteriore del veicolo, protetto da una capsula ovale. L’uranio arricchito avrebbe generato calore attraverso la fissione, riscaldando l’acqua fino a trasformarla in vapore. Il vapore avrebbe alimentato una turbina collegata alle ruote: un sistema simile a quello dei sottomarini nucleari dell’epoca, come l’USS Nautilus varato nel 1954.
Ford ipotizzava anche la possibilità di sostituire il reattore nelle stazioni di servizio, scegliendo tra modelli “fuel-efficient” o “high-performance”. Un po’ come cambiare la batteria di un’auto elettrica, ma con l’uranio.
L’autonomia teorica era di 8000 chilometri tra un “cambio reattore” e l’altro. Le dimensioni del veicolo raggiungevano i 5 metri di lunghezza per quasi 2 di larghezza, con un’altezza di appena 1 metro. Praticamente una Ford GT40 larga come un pickup, alimentata a plutonio. E che sarà mai, no?
Gli ostacoli che nessuno voleva vedere
Il primo problema era il peso. Per proteggere i passeggeri dalle radiazioni serviva una schermatura massiccia al piombo. Tonnellate di piombo. Nei suoi comunicati, Ford sorvolava elegantemente su questo dettaglio, dando per scontato che “un giorno” si sarebbero trovati materiali più leggeri. Non è successo. Settant’anni dopo, i reattori nucleari hanno ancora bisogno di schermature pesantissime.
Il secondo ostacolo era la conversione energetica. Trasformare il calore del reattore in movimento meccanico richiedeva molteplici passaggi: fissione → calore → vapore → turbina → elettricità → motore. Ogni conversione disperde energia, e tutto quel calore andava smaltito tramite radiatori. Tanti radiatori, radiatori a garganella come direbbe Aldo del trio.
I motori a combustione interna espellono il calore attraverso i gas di scarico; un reattore nucleare no, perché il fluido di lavoro viene riciclato continuamente.
E poi in caso di incidenti…
Immaginate un tamponamento in autostrada. Con un serbatoio di benzina nel peggiore dei casi prende fuoco. Con un reattore nucleare? Ford non specificava. Le conseguenze di un incidente stradale nucleare erano difficili da calcolare e le persone impossibili da rassicurare. La gestione delle scorie radioattive era un altro nodo irrisolto: cosa fare dei reattori esausti? Dove smaltirli? Con quale frequenza? Alcune di queste domande valgono ancora oggi, eh. E i “sorvolatori” sono sempre qua, ma questa è un’altra storia, torniamo alla nostra.
La Ford Nucleon non fu l’unico esperimento atomico della casa americana perché, ehi, perseverare è diabolico. Nel 1962 arrivò la Seattle-ite XXI, altra concept car nucleare con sei ruote e un reattore sotto il cofano. Anche questa rimase un modellino. L’ottimismo tecnologico degli anni ’50 credeva che qualsiasi problema si sarebbe risolto con più tecnologia, più profitto, più mercato. Allegria! La realtà si rivelò meno cooperativa.
Oggi i Small Modular Reactors (SMR) stanno riducendo le dimensioni dei reattori nucleari. Certo non abbastanza per un’automobile, ma abbastanza per montarli su camion. La Ford Nucleon aveva visto giusto (diciamo) sull’idea, sbagliando tutto sul resto: dimensioni, portata, modalità di attuazione, design, tempi di realizzazione.
Ford Nucleon, cosa resta del sogno atomico
La Ford Nucleon oggi è conservata al museo Henry Ford, testimonianza di un’epoca in cui l’energia nucleare sembrava la soluzione a tutto. Niente più benzinai, niente più emissioni, solo uranio e ottimismo. Il concept dimostrò una cosa importante: immaginare il futuro è facile, costruirlo richiede che la fisica sia d’accordo.

Oggi la tecnologia dei reattori è migliorata, ma i problemi che fermarono la Ford Nucleon nel 1958 sono ancora lì: peso della schermatura, efficienza della conversione energetica, smaltimento delle scorie, gestione del rischio. Ford aveva immaginato stazioni di ricarica nucleari al posto dei distributori di benzina. Oggi abbiamo colonnine elettriche.
La domanda che la Nucleon solleva è semplice: fino a che punto l’ottimismo tecnologico può ignorare i limiti della fisica prima di diventare pura fantasia? Nel 1958, la risposta era “parecchio”. Oggi sappiamo che tra un concept audace e un prototipo funzionante c’è un abisso fatto di tonnellate di piombo, conversioni energetiche inefficienti e il piccolo problema delle radiazioni ionizzanti in caso di tamponamento.
Nonostante tutto, almeno per me, la Ford Nucleon rimane bella da guardare. Una via di mezzo tra la Batmobile e l’auto dei Jetsons. Peccato che nessuno abbia mai capito come farla funzionare senza trasformare ogni incrocio in una zona di esclusione. Avanti il prossimo!
