Uno strumento chiamato ClimateBert ha valutato se le aziende stiano effettivamente facendo ciò che dicono di fare quando si tratta di ambiente, o se sia solo greenwashing. Non è andata granchè bene.
Cos’è il greenwashing
La definizione di greenwashing si riferisce alla comunicazione ingannevole sulle pratiche e sull’impatto ambientale di un’azienda. False informazioni e pubblicità fatta solo per presentare un’immagine pubblica ecologicamente responsabile. In un momento in cui i marketer hanno circa tre secondi per attirare l’attenzione di qualcuno, è molto più facile manipolare la verità, specie quando si tratta di lodare gli sforzi della sostenibilità e degli sforzi ecologici. Ma mentre ci sono aziende impegnate a fare davvero la differenza per le persone e il pianeta, molte altre sposano il tema ambientale più nel marketing che nella pratica reale. Ma come possiamo distinguere tra il greenwashing e le vere iniziative verdi? In questo caso, è entrata in gioco l’intelligenza artificiale.
ClimateBert è uno strumento di intelligenza artificiale che decostruisce dichiarazioni aziendali, relazioni annuali, dichiarazioni e altri materiali per valutare la divulgazione relativa al clima, e misurare le prestazioni effettive. È stato creato dalla TCFD. È una Task Force che fornisce alle aziende strumenti per divulgare in modo più efficace le prestazioni relative al clima. Poiché la cosa non è facile, TCFD si è rivolta all’elaborazione del linguaggio naturale e alle reti neurali per chiedere aiuto. L’enorme volume di dati, spesso fatto anche di parole non chiare, rappresenta una grande sfida da analizzare in modo tempestivo. Con strumenti di AI come ClimateBert, ora si possono ridurre settimane di analisi in pochi giorni.
Cosa ha scoperto ClimateBert?
Purtroppo, dopo aver valutato più di 800 aziende, ClimateBert ha dato responso negativo. L’AI ha stabilito che ci sono molte chiacchiere, ma mancano le prestazioni effettive. Perché? Nella valutazione di TCFD, ci sono tre principali fattori che contribuiscono. In primo luogo, finora il greenwashing è in gran parte sfuggito al controllo. E quindi non c’è alcun incentivo per le aziende a cambiare. Secondo luogo: gli accordi di Parigi hanno, ironicamente, permesso alle aziende di essere più “selettive” in ciò che vogliono divulgare per limitare il rischio del marchio. In terzo luogo, ad eccezione della Francia, la rendicontazione del clima aziendale è una divulgazione volontaria. Questo consente alle aziende molta, troppa libertà su ciò che vorrebbero condividere.
Ecco perché TCFD insiste. Serve rendere i rapporti delle aziende sull’impegno ambientale standardizzati e obbligatori.
L’AI a caccia del greenwashing
Anche altre organizzazioni stanno sfruttando la potenza dell’intelligenza artificiale per scoprire il greenwashing. Ad esempio Ping An, società assicurativa e finanziaria con sede in Cina. Ping An sfrutta il suo Centro di ricerca economica digitale e l’AI per valutare la divulgazione aziendale sul clima e rilevare il greenwashing. Utilizzando algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale, il Digital Economic Research Center ha invece sviluppato indicatori basati sull’AI per determinare l’esposizione al rischio climatico in modo più preciso rispetto alle tradizionali metriche ambientali, sociali e di governance aziendale (ESG).
In sintesi, l’intelligenza artificiale è più efficiente nel determinare se un’impresa sia veramente eco-compatibile o faccia semplicemente greenwashing.
Restano due problemi di fondo
Sebbene questi esempi sembrino promettenti, però, ci sono ancora due problemi da affrontare.
Primo, Servono buoni dati per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale e dar loro qualcosa da analizzare e rivedere. Grazie ad altre tecnologie emergenti come i sensori IoT (per raccogliere dati ESG) e blockchain (per tenere traccia delle transazioni), abbiamo l’infrastruttura per raccogliere più dati. Misurando l’utilizzo di energia in tempo reale, i percorsi di trasporto, i rifiuti di produzione e così via, il greenwashing viene stanato prima.
Secondo problema è ovviamente applicare i macro benefici alle micro soluzioni. Non è sufficiente valutare i progressi ambientali delle aziende su iniziative popolari come la piantumazione di alberi. Aziende come Microsoft, Alibaba, American Express e altre sono tutte impegnate in programmi per piantare milioni di alberi. Suona come un’ottima idea finché non inizi a considerare l’impatto che ha davvero.
Un albero maturo compensa circa 20 chili (48 libbre) di CO2 all’anno. Buono, no? La maggior parte delle aziende, però, non tiene conto del tempo necessario a farlo crescere. Anche la specie di albero determina la quantità di CO2 “catturata”. Un albero di acero maturo può compensare circa 226 chili (500 libbre) di CO2 all’anno, mentre le palme hanno una media di soli 2 chili (15 libbre) all’anno. Le aziende devono capire quanti alberi, di che tipo, in che posizione ecc. per calcolare con precisione l’impatto sulla CO2. Questo è ovviamente un processo che costa alle imprese più denaro, risorse e tempo. E quindi la cosa non viene fatta, o non viene fatta bene.
Per fortuna, l’intelligenza artificiale è ideale per gestire anche queste attività.
Attraverso il rilevamento del greenwashing, l’intelligenza artificiale ci aiuta a costruire verità e fiducia nella comunicazione aziendale. E può aiutare le aziende a dimostrare che stanno facendo davvero qualcosa. Se riusciremo a stabilire uno standard di raccolta dati per istruirla a dovere, l’intelligenza artificiale ci aiuterà a costruire un mondo più sostenibile per tutti.