Se un giorno lontano sui libri di storia (o quello che li sostituirà) si racconteranno le crisi che hanno portato, o rischiato di portare, il mondo ad una terza guerra mondiale, probabilmente quella che sto per raccontarvi sarà una delle più importanti.
Roadmap di una relazione difficile
Nel 1991, quando (di fatto) l’URSS fu divisa tra le élite occidentali e la nomenklatura dell’ex Soviet furono raggiunti molti accordi: il più importante di questi? La fine delle offensive militari reciproche.
La Federazione Russa, che era praticamente la copia militare al 100% dell’Unione Sovietica, abbandonò le sue basi in Europa e nel mondo. Pose fine alle pattuglie di 24 ore di sottomarini e aerei armati di armi nucleari che entravano nel territorio USA e fermò il copioso traffico di armi verso paesi “instabili”.
E gli USA? Dal 1996 tengono una condotta piuttosto diversa. In Russia sono sorte centinaia di organizzazioni più o meno “spontaneamente” indirizzate dall’american way of life con conseguenti rivoluzioni colorate a macchia di leopardo. Avete mai visto una singola ONG sul suolo americano promuovere la visione russa di come gli americani dovrebbero vivere la propria vita? Non basta: lentamente gli USA hanno avviato una manovra di ‘accerchiamento’ nei paesi dell’ex Unione, posizionando truppe un po’ ovunque, comprese quelle dotate di armi nucleari.
Dal 1996 al 2003, la Russia ha chiesto agli USA di rivedere la sua politica. Dal 2004 al 2007, le richieste si sono fatte più ferme. Dal 2008 ad oggi, la Russia si è detta sempre più preparata a reagire (basta raccogliere e rileggere i discorsi di Putin) senza nascondere la sua volontà di rispondere, anche militarmente.
A dicembre 2021, il Cremlino ha emesso un ultimatum.
E questo dovrebbe significare una terza guerra mondiale?
Niente affatto. Non ancora, almeno. Ma torniamo al mese scorso. L’ultimatum russo agli USA, pubblicato a seguito dei colloqui fatti a Ginevra, Bruxelles, Vienna e da remoto, è caduto prevedibilmente nel vuoto. Terza guerra mondiale? Non scherziamo. Ci vuole più tempo per queste cose. Però l’allarme è forte, al punto che anche paesi limitrofi come la Svezia cercano di rafforzare le difese in vista di tempi peggiori.
Ma cosa chiede il Cremlino? Sempre la stessa cosa da almeno 13 anni: il ridimensionamento territoriale della NATO. E come probabilmente capirete anche voi, a questo punto una escalation è inevitabile.
Quello che i media occidentali non sottolineano è che il rapporto tra Russia e Ucraina è compromesso da tempo: almeno il lato occidentale dell’ex stato Sovietico è considerato perso, lontano dallo spirito russo. I russi deridono da anni i Khohly (ucraini) come idioti, traditori, ladri di denaro. L’obiettivo di Putin è strangolare economicamente l’Ucraina e raccogliere i cocci con l’eventuale implosione del paese.
E poi?
La presenza russa non si estenderà a Cuba, in Venezuela o in Nicaragua. Non in questo momento, almeno. Non escludo che la cosa sia nei piani, ma non avrebbe senso in questo momento. Gli USA hanno aperto troppi fronti (Cina, Russia, controllo degli stati sudamericani) e rischiano di somigliare molto da vicino proprio all’URSS, implosa per cercare disperatamente di tenere insieme tutti i pezzi. Resteranno alla finestra con le loro basi in Messico, a godersi le baruffe interne che gli americani inizieranno a rivivere dalle elezioni di medio termine a quelle “sanguinose” del 2024.
Ciò che ha immediatamente senso, e che rappresenterebbe un punto di non ritorno dal rischio concreto di scatenare una terza guerra mondiale, sarebbe la presa delle Svalbard.
Un punto legalmente conteso, controverso, che la Russia dovrebbe condividere con la Norvegia. Non sfugge ai più il danneggiamento “misterioso” del cavo sottomarino che collega la norvegia alla stazione satellitare artica.
La presa delle Svalbard
Una (eventuale) rivendicazione dell’arcipelago delle Svalbard sarebbe tecnicamente una passeggiata per i Russi. Probabilmente ci sarebbero poche vittime, nessuna civile. Economicamente sarebbe molto redditizia, perchè le acque territoriali di quell’area sono piene di gas naturale.
Militarmente? Dubito che gli USA reagirebbero bruscamente sul punto: le Svalbard sono parzialmente russe, e nessuno ci vive stabilmente. Ma il messaggio sarebbe inequivocabile, e se gli americani conserveranno una loro unità civile, sociale e militare si prepareranno al peggio.
Controllare le Svalbard significa iniziare a mettere le mani sulla Groenlandia, l’ultimo grande pezzo del pianeta che sta diventando (purtroppo) abitabile a causa del cambiamento climatico.