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Ditelo a Brunetta, c’è lo studio: il lavoro remoto non riduce la produttività

A parità di tempo il lavoro remoto non solo non riduce la produttività, ma addirittura la aumenta. Ditelo a chi di dovere, ancora una volta.

Gianluca Ricciodi Gianluca Riccio
in Società
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7 Maggio 2022
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Un team composto da 5 ricercatori dell’Ergonomic Center di Houston, in Texas, lavorava con una grande compagnia energetica per un monitoraggio annuale dei dati ergonomici di 264 dipendenti. Durante il periodo di studio, però, l’azienda è stata costretta a chiudere i suoi uffici a causa dell’arrivo dell’uragano Harvey, e ha richiesto ai dipendenti di passare al lavoro remoto.

I ricercatori hanno approfittato dell’imprevisto per confrontare i dati tecnologici dei dipendenti prima, durante e dopo l’uragano. 

E sapete cosa hanno scoperto?

Durante l’uragano, i comportamenti lavorativi dei dipendenti non sono cambiati molto, a parte un lieve calo nell’uso del computer. Nei sette mesi di lavoro remoto, i livelli di produttività dei dipendenti sono rimasti uguali a quelli precedenti l’uragano. Il che significa, in soldoni, che la produttività a parità di tempo è addirittura superiore.

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Questo studio, pubblicato su IOS Press (ve lo metto qui), offre importanti spunti a diverse categorie di lavoratori, primi su tutti quelli del comparto IT, sempre più interessati a lavorare in remoto dopo l’arrivo del Covid e le sue conseguenze sociali tra Yolo Economy e Grandi dimissioni.

“In futuro, sempre più lavoratori tecnologici svolgeranno il loro impiego da remoto,” dice Mark Benden, il direttore dell’Ergonomics Center. “Questo studio è un messaggio enorme per i datori di lavoro, e deve farli riflettere moltissimo sull’opportunità per i dipendenti di lavorare da remoto o con una pianificazione ibrida”.

benden lavoro remoto
Mark Benden: ergonomista, ricercatore e… a quanto vedo, amante del bricolage.

Information Technology, diversamente usurante

Questa ricerca fa parte di un progetto più ampio del Center for Ergonomics per esaminare la salute dei lavoratori IT. Anche se il lavoro al computer può sembrare meno faticoso di quello dei colletti blu, è altrettanto pericoloso. “La ricerca dice che se lavori in un certo modo a un certo ritmo per una certa durata, è più probabile che abbia grossi problemi anche con il lavoro remoto”, dice Benden. La sindrome del tunnel carpale, ad esempio: micidiale.

Gestire meglio il proprio tempo è un toccasana per la mente e per il corpo: lo sa bene chi ha potuto cogliere in modo virtuoso l’opportunità del lavoro remoto. In questo studio i ricercatori hanno osservato che le pause non ostacolano la qualità del lavoro dei dipendenti.

Le persone che hanno saputo prendersi le giuste pause sono state nel complesso più produttive. Hanno fatto di più. Dobbiamo farlo capire a chi di dovere, e aiutare sempre più lavoratori a fare lo stesso.

Lavoro remoto: non è tutto rose e fiori, ovviamente

Il lavoro virtuoso a distanza, si diceva, migliora la vita e lo stesso lavoro. E quello “non virtuoso”? I danni desistono anche per i lavoratori a distanza, tra depressione e rischio di abusi (cibo e alcol su tutti).

L’Ergonomic Center si è posto anche questo problema: “Potremmo aiutare i lavoratori. Invece di lasciarli perdere in cattive posture o cattive abitudini, potremmo dare loro una salutare spintarella, per ricordare loro che è ora di fare una passeggiata o un pausa”, ha detto Benden. “Come esseri umani tendiamo a perdere la cognizione del tempo quando siamo molto focalizzati. Per impedirci di usurarci troppo dobbiamo avere spinte e promemoria. Funzionano, e le persone rispondono bene”.

C’è un intento ulteriore? Non so, ad esempio quello di tracciare l’effettivo lavoro remoto (il che renderebbe i lavoratori prigionieri nelle loro stesse case)? Non lo so, non posso saperlo, non voglio saperlo. Ci penserò.

Nel frattempo porto a casa il dato, l’ennesimo positivo, sul lavoro remoto. Brunetta, che fai? Concili?

Tags: lavoroSmartworking
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