Cosa succede quando l’innovazione tecnologica incontra la burocrazia europea? Nasce un caso come quello di Piracy Shield, la piattaforma italiana che prometteva di fermare la pirateria in tempo record ma che ora rischia di diventare un boomerang diplomatico.
La Commissione UE ha mosso le sue pedine, accusando l’Italia di aver creato un sistema che viola il Digital Services Act. Non è solo una questione tecnica: si tratta di decidere chi ha il diritto di controllare cosa possiamo vedere online. E la partita è appena iniziata.
Piracy Shield nel mirino europeo
Il 13 giugno 2025, la Commissione Europea aveva inviato una lettera al ministro degli Esteri Antonio Tajani che suonava come un ultimatum diplomatico. Il contenuto è chiaro: Piracy Shield potrebbe non rispettare il Digital Services Act e compromettere diritti fondamentali come la libertà d’espressione. Non si tratta di un rimprovero formale, ma di un vero e proprio avvertimento che potrebbe portare a sanzioni concrete.
La piattaforma, sviluppata per bloccare i siti che trasmettono illegalmente eventi sportivi entro 30 minuti dalla segnalazione, è finita sotto i riflettori per i suoi metodi drastici. Secondo la Commissione, gli articoli 8, 8-bis, 9-bis e 10 del progetto normativo italiano non rispettano i requisiti procedurali previsti dal DSA, sia dal punto di vista linguistico che giuridico.
Il rischio denunciato da Bruxelles è che blocchi rapidi e automatici dei contenuti possano equivalere a una negazione di servizio, creando un pericoloso precedente per il controllo dell’informazione online. E la UE non è nemmeno la più arrabbiata, al momento.

Big Tech contro Piracy Shield
L’opposizione, come vi anticipavo, non arriva solo dalle istituzioni europee. La Computer & Communications Industry Association (CCIA), che rappresenta giganti come Google, Amazon e Meta, ha già presentato una denuncia formale contro il sistema italiano.
Le maggiori aziende tecnologiche del mondo si sono coalizzate contro quello che considerano un sistema di censura mascherato da soluzione anti-pirateria. Come riporta TorrentFreak, la CCIA ha denunciato la mancanza di trasparenza e controlli democratici nella piattaforma.
La critica più pesante riguarda il fatto che Piracy Shield è gestita da SP Tech, una società controllata dalla Lega Serie A, che risulta anche uno dei principali beneficiari del sistema. Una situazione che solleva evidenti conflitti di interesse nella gestione di uno strumento con poteri di censura.
Gli errori del sistema hanno già fatto danni collaterali significativi. Il caso più eclatante è stato il blocco della CDN di Google nell’ottobre 2024, che ha reso inaccessibili servizi come Google Drive e YouTube per ore. Altri episodi hanno coinvolto Cloudflare, Akamai e numerosi siti legittimi che condividevano indirizzi IP con presunte piattaforme pirata.
E ora come finirà?
Il Digital Services Act, entrato in vigore nel 2022, rappresenta il tentativo dell’Unione Europea di regolamentare le piattaforme digitali garantendo al contempo i diritti fondamentali degli utenti. Il regolamento prevede procedure specifiche per il controllo dei contenuti, con particolare attenzione alla trasparenza e al diritto di difesa.
Piracy Shield sembra ignorare questi principi fondamentali. Christian Dawson, direttore esecutivo della i2Coalition, non usa mezzi termini: “Il numero di problemi che stiamo vedendo con Piracy Shield è notevole. Vogliamo che il resto d’Europa lo veda come un modello di cosa non fare”.
La questione non riguarda solo la tecnologia, ma tocca il cuore della democrazia digitale. Come sottolineato dalla Commissione, la lotta alla pirateria non può compromettere la libertà di espressione e informazione garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
I diritti umani vanno rispettati online proprio come nella vita offline
L’Italia ora si trova di fronte a una scelta: modificare il Piracy Shield per renderlo conforme alle normative europee o rischiare sanzioni che potrebbero arrivare fino al 6% del PIL. Il paradosso è evidente: come già denunciato in passato, la lotta alla pirateria rischia di diventare essa stessa una forma di pirateria dei diritti digitali.
Mentre l’AGCOM difende il sistema sostenendo di aver bloccato oltre 55.000 contenuti illegali, la domanda rimane aperta: in una battaglia dove si sacrificano trasparenza, controlli democratici e diritti fondamentali per fermare chi guarda partite gratis, chi sono davvero i pirati?