Nel 1964, in Italia nascevano più di un milione di bambini. Ospedali pieni, scuole che si moltiplicavano, un Paese che cresceva letteralmente sotto gli occhi di tutti. Oggi quelle culle sono vuote. 60 anni dopo, nel 2024 siamo scesi a 370mila nascite, con un tasso di fertilità di 1,18 figli per donna: il minimo storico mai registrato. Non è un’anomalia passeggera. È la nuova normalità del declino demografico.
Per decenni, i governi hanno cercato di invertire la rotta con bonus bebè, congedi parentali, asili nido gratuiti. La Francia ci ha speso il 4% del PIL annuo. Risultato? Nel 2023 ha registrato il numero più basso di nascite dalla Seconda guerra mondiale. Il genio non torna nella lampada. Il declino demografico è irreversibile. Ma forse non sarà la catastrofe che temiamo, se impariamo ad adattarci.
I numeri che non lasciano scampo
I dati ISTAT di febbraio 2025 confermano quello che demografi e economisti ripetono da anni: la popolazione italiana sta iniziando un declino demografico strutturale che nessuna politica sembra in grado di arrestare. Le nascite nei primi due mesi del 2025 sono calate dell’8,3% rispetto allo stesso periodo del 2024. La popolazione residente è scesa a 58,9 milioni, in calo di 12mila unità rispetto a inizio anno. Entro il 2050, secondo le proiezioni ufficiali, l’Italia perderà altri 3,2 milioni di abitanti. Entro il 2080, gli over 65 passeranno dall’attuale 17% al 30% della popolazione totale.
Non siamo soli. Uno studio pubblicato su Nature nell’agosto 2025 ha analizzato i trend globali: entro il 2050, più di tre quarti dei Paesi del mondo avrà tassi di fertilità sotto il livello di sostituzione di 2,1 figli per donna. La Corea del Sud è già a 0,75. Il Giappone perde popolazione dal 2010. Persino gli Stati Uniti, che per decenni hanno compensato con l’immigrazione, potrebbero vedere la loro popolazione calare per la prima volta nella storia proprio nel 2025.
Il Congressional Budget Office americano stima che il rapporto tra popolazione in età lavorativa (25-64 anni) e pensionati (over 65) passerà da 2,8 a 1 nel 2025 a 2,2 a 1 entro il 2055. In parole povere: meno lavoratori per sostenere più anziani. Il conto è semplice, le conseguenze no.

Perché gli incentivi non bastano (e non basteranno mai)
L’errore è pensare che basti pagare di più. La Francia ha costruito il sistema di welfare familiare più generoso d’Europa: asili nido sovvenzionati dall’infanzia alla scuola materna, detrazioni fiscali per famiglie numerose, assegni mensili per ogni figlio, bonus pensione per chi ne fa tre o più. Costo annuo: tra il 3,5% e il 4% del PIL. Risultato stimato: un aumento di appena 0,1-0,2 figli per donna. Nel 2023, la Francia ha registrato il numero più basso di nascite dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Il problema è più profondo. Come spiega Jesús Fernández-Villaverde, economista dell’Università della Pennsylvania citato nello studio di Nature,
“c’è stato un calo della fertilità assolutamente incredibile, molto più veloce di quanto chiunque avesse previsto. E sta accadendo in Paesi che non avresti mai immaginato”.
Non è solo una questione economica. È culturale, sociale, persino biologica. L’età media delle madri italiane è salita a 32,6 anni. I giovani formano meno coppie, fanno meno sesso, rimandano tutto. Come abbiamo raccontato in passato, si tratta di un fenomeno globale che nessuna politica isolata può invertire.
La verità scomoda è questa: al momento, nessun Paese al mondo dove la fertilità è scesa stabilmente sotto 2,1 è mai tornato sopra quella soglia. Mai.
Declino demografico e conseguenze dirette: come adattarsi a un mondo che invecchia
Se non possiamo invertire il declino demografico (e a meno di miracoli, non vedo come potremmo), possiamo se non altro gestirlo. Le leve sono tre, e tutte richiedono scelte politiche che nessuno vuole fare davvero.
Prima leva: riforma fiscale. Un mondo che invecchia costa. Molto. L’FMI stima che i Paesi ricchi dovranno spendere il 21% del PIL annuo per i pensionati entro il 2050, contro il 16% del 2015. In Italia, senza riforme, sia la previdenza sociale che il sistema sanitario per anziani esauriranno i loro fondi principali entro il 2032, con conseguenti tagli automatici fino al 24%. Tra le possibili soluzioni? Rallentare la crescita delle pensioni per i redditi più alti e aumentare le tasse sui consumi anziché sul lavoro. Nessuno vuole sentirlo, ma è matematica.
Seconda leva: immigrazione. Più lavoratori stranieri significa più contribuenti e più consumi. Il 46% delle aziende della Fortune 500 è stato fondato da immigrati o figli di immigrati. Ma l’immigrazione funziona solo se gestita con controlli regolari e politiche di integrazione serie. L’errore è aprire tutto senza filtri o chiudere tutto per paura. Servono sistemi “demand driven” ed equi, che attraggano (e lo facciano sul serio, non per sfruttare e basta) chi riempie carenze reali nel mercato del lavoro.
Terza leva: investimenti in produttività. Se i lavoratori sono meno, devono essere più bravi. Più formazione continua, più ricerca scientifica, più automazione intelligente. Una forza lavoro più piccola può reggere un’economia più grande solo se è più qualificato e supportato dalla tecnologia.

Declino demografico, il futuro sembra già scritto (ma possiamo scegliere come leggerlo)
Il declino demografico non è una crisi. È una condizione. Un po’ come il cambiamento climatico: possiamo ignorarlo, negarlo, sperare che si risolva da solo. Oppure possiamo prepararci. La differenza tra un Paese che collassa e uno che si adatta sta tutta nelle scelte che facciamo oggi. Riforme fiscali impopolari. Politiche migratorie coraggiose. Investimenti massicci in ricerca e istruzione.
Il problema non è che avremo meno figli. È che continuiamo a costruire sistemi pensati per una popolazione in crescita, quando la realtà va esattamente nella direzione opposta. La popolazione mondiale raggiungerà il picco nel 2084 e poi inizierà a calare. È la prima volta dalla Peste Nera del 1300.
Meglio pensarci oggi, che trovarsi impreparati domani.