Apri gli occhi al mattino, e la prima cosa che fai è controllare il telefono. Ancora prima di alzarti dal letto, ancora prima di ricordare che giorno è, la tua mano si muove automaticamente verso lo schermo. Un gesto talmente meccanico che potresti eseguirlo nel sonno. Alzati, intanto, e vieni con me, ti porto nel futuro: benvenuto nel 2026, l’anno in cui un numero crescente di persone ha deciso che questo rituale quotidiano non è normalità ma patologia, e ha fatto un passo indietro.
Non parlo di guru dello yoga che predicano il ritorno alla natura: parlo di manager trentenni con lauree specialistiche che cancellano Instagram mentre sono in metropolitana. Di millennial che comprano “dumb phone”, telefoni stupidi da 30 euro. Ti parlo, per essere ancora più chiari, di intere comunità online (l’ironia non sfugge) che si organizzano per decidere quando, quanto, come staccarsi dalla rete.
Il passo indietro che fa rumore
Andiamo come sempre ad osservare qualche segnale debole: le vendite di telefoni “stupidi” nel Regno Unito hanno raggiunto 450.000 unità nel 2024, con un incremento del 4% in tutta l’Europa occidentale. In Nord America, secondo una ricerca di GWI, il 20% dei consumatori ha fatto un detox digitale completo nell’ultimo anno. Il 70% ha provato almeno a limitare il tempo davanti agli schermi. E qui scatta il paradosso: mentre Deloitte prevede che l’IA dominerà ogni aspetto della tecnologia nel 2026, dall’hardware al software, una fetta di popolazione sta facendo esattamente l’opposto di ciò che il mercato propone. Quanto è grande questa fetta?
La Gen Z, cresciuta con gli smartphone, sta guidando questo passo indietro. Un po’ come se avessero capito qualcosa che noi, più vecchi, ci ostiniamo a ignorare. Le vendite di flip phone tra i 18-24enni sono salite del 148% dal 2020. Forse è una forma di autodifesa, forse è semplice esame di realtà: un Gen Z “pentito” ha intorno tanti Gen Z totalmente deformati dall’uso dei social, tanto da avere letteralmente capacità diverse.
Ma serve davvero tornare ai flip phone per riconquistare il controllo? O è solo una moda passeggera, un altro hashtag che svanirà appena arriverà la prossima novità tecnologica? La risposta è più complicata di quanto sembri, e non so neanche se mi va di provare a darla.
Quando la tecnologia diventa un problema da risolvere
Gli smartphone, lo saprete sicuramente ormai, sono progettati deliberatamente per creare dipendenza. È una questione di ingegneria comportamentale. Le notifiche, i like, i commenti attivano il rilascio di dopamina nel cervello, creando cicli di rinforzo che ci tengono incollati allo schermo. Siamo diventati topi da laboratorio che premono compulsivamente una leva sperando nella prossima ricompensa.
E poi c’è il dato ancora più inquietante: uno studio recente ha dimostrato che staccare dallo smartphone per due settimane riduce i sintomi depressivi in modo paragonabile (se non superiore) agli antidepressivi. Ripetilo ad alta voce: mettere giù il telefono può essere efficace quanto una terapia farmacologica. Il 91% dei partecipanti si è sentito meglio. Novantuno. Percento. Anche ora, mentre stai leggendo questo articolo. Interrompilo e posa il telefono, ti farà più bene che leggerlo per intero.
Se sei rimasto a leggere: si, il problema esiste. E no, non è nella tua testa. Non solo, almeno. Ma l’idea di fare un passo indietro dalla tecnologia è la soluzione? O è un’illusione consolatoria?
Il ritorno impossibile
Ecco la parte scomoda. Non puoi davvero tornare indietro. Puoi comprare un Nokia 3310 ricondizionato, puoi cancellare i social, puoi vivere in una capanna nei boschi con candele e haiku scritti a mano. Ma non puoi cancellare il progresso tecnologico dalla società. Non puoi far finta che gli smartphone non esistano, che l’IA non stia ridefinendo il lavoro, che la connettività costante non sia ormai integrata in ogni aspetto della vita moderna.
Puoi cercare di guidare senza GPS dopo anni passati a seguire ciecamente le indicazioni vocali. Teoricamente puoi. Praticamente? Buona fortuna a trovare quell’indirizzo in periferia senza Google Maps. La tecnologia non è un optional reversibile. È un processo unidirezionale. La storia lo ha dimostrato mille volte: una volta che una tecnologia si diffonde e diventa infrastruttura, non c’è modo di eliminarla. Puoi solo imparare a conviverci meglio.
Secondo Mark van Rijmenam, esperto di future trends, il 2026 sarà il momento in cui “l’intelligenza diventa uno spazio condiviso tra umani e macchine”. Non puoi fare un passo indietro da questa realtà. Puoi solo decidere come partecipare.
L’equilibrio (che non è un passo indietro)
Il vero punto, se non si era capito, è che non serve tornare ai flip phone. Serve capire una banalità che però nessuno capisce, anche se continua a ripetersela come un pappagallo: il problema non è lo strumento, ma l’uso che ne facciamo. O meglio: l’uso che gli permettiamo faccia di noi. Alcuni stanno già trovando soluzioni diverse. Comprano sia uno smartphone che un telefono “stupido”, usando il primo quando serve davvero e il secondo per limitare la tentazione dello scroll compulsivo. Altri disattivano tutte le notifiche non essenziali (serve davvero sapere immediatamente che qualcuno ha commentato la tua foto?). Altri ancora designano “zone franche” dai dispositivi: i pasti, le prime ore del mattino, l’ultima ora prima di dormire.
Non è un passo indietro: è un aggiustamento laterale. Un tentativo di trovare equilibrio in un mondo che ha accelerato troppo in fretta perché il nostro cervello potesse adattarsi. Una parte “sana” della Gen Z l’ha capito prima di noi: compra flip phone non per nostalgia, ma perché ha riconosciuto il problema mentre è ancora in tempo per risolverlo.
Quello che succederà davvero
Allora, intanto ti riporto nel presente, così guardi il futuro dalla giusta distanza. nel 2026 faremo davvero un passo indietro dalla tecnologia? No. Non succederà davvero. È una specie del Canto di Natale, ma al contrario. Il “fantasma della società futura” che ho interpretato ti ha fatto capire che la scena con tutti che mollano in blocco i social e vanno nei boschi è una pura fantasia. La tecnologia continuerà ad avanzare, l’IA diventerà più pervasiva, i dispositivi diventeranno più potenti. Ma quello che potrebbe succedere (e anzi, un po’ sta già succedendo) è un piccolo cambio di consapevolezza. Un ibrido, una cosa strana: una generazione che cresce con gli strumenti per resistere alla dipendenza che quegli stessi strumenti creano. Un mercato che, forse, a partire proprio dai “padroni del vapore” come i CEO del Big Tech inizia a capire che massimizzare il tempo di utilizzo non è più un obiettivo sostenibile.
Il passo indietro non è nei dispositivi che usiamo. È nel controllo che riprendiamo. Finché decidi tu quando guardare lo schermo (e non il contrario), stai già vincendo. Anche se lo fai con l’ultimo modello di smartphone che si piega in quattro come una pizza “a libretto” (questa è per i miei concittadini napoletani).
Poi, certo, un Nokia 3310 ha anche il suo fascino. Dura una settimana con una carica, ha Snake preinstallato e se lo tiri in testa a qualcuno, anche da brevissima distanza, lo uccidi sul colpo. A pensarci bene: servirà altro nel 2026?