Meta è al centro di una nuova serie di cause legali che accusano Instagram di favorire disordini alimentari, depressione e perfino suicidio in bambini e adolescenti. E al centro della strategia accusatoria c’è un argomento nuovo, che ha potenziali implicazioni serie per l’impero dei social media di Mark Zuckerberg.
Le cause, che contengono storie inquietanti di vittime sottoposte a contenuti su Instagram che promuovono anoressia, autolesionismo e suicidio, si basano in gran parte su fughe di notizie. La “gola profonda”, l’informatrice Frances Haugen, l’anno scorso ha rivelato documenti interni di Meta che dimostrano come Instagram provochi disturbi di percezione sull’immagine corporea e altri gravi problemi di salute mentale in molti adolescenti. In passato vi ho documentato di segnali in questa direzione, ma avevano come vittime per lo più donne adulte: sembra che i problemi siano molto più estesi.
Meta lo sapeva
Il nodo della questione, il più rischioso per Instagram, è che dalla fuga di notizie si evidenzia che Meta era ben consapevole dei danni che i suoi prodotti stavano arrecando ai bambini, ma ha scelto di anteporre la crescita e i profitti alla sicurezza.
Questo è il fulcro di quasi tutte le cause legali mosse al gigante dei social: con una costante (per la quale sono ‘citati’ anche altri social come Snapchat e Tiktok), quella di spingere prodotti che creano ‘dipendenza’ e rischi anche letali.
“In quale universo un’azienda può somministrare questa sporcizia pericolosa per i bambini e farla franca?” dice Matthew Bergman, il fondatore del Social Media Victims Law Center. L’associazione di “vittime da social” ha da sola intentato più di mezza dozzina di cause legali contro Instagram.
Questi prodotti stanno causando gravi danni ai nostri bambini
Un ostacolo su tutti nella legislazione USA renderà difficile il percorso delle vittime che fanno causa a Instagram: si chiama Sezione 230 del Communications Decency Act. Una legge che, di fatto, protegge le aziende di social media da contenziosi simili.
Gli elementi forniti dalla fuga di notizie di Haugen però potrebbero “costringere” Meta ed altre aziende a cambiare traiettoria.
Il punto è che la Sezione 230 ha lo scopo di preservare la libertà di parola degli utenti di Internet e impedisce alle piattaforme Web di essere ritenute legalmente responsabili per i contenuti pubblicati dagli utenti. Ma qui non si tratta solo di questo: è proprio il modo con cui è costruito Instagram a indirizzare le vittime verso tali contenuti. E questo potrebbe rendere inefficace lo “scudo legale”.
La tesi, in sintesi, è che Instagram sia fatto in modo da favorire questi contenuti dannosi. Ovviamente Meta non concorda, ma questa sarà una questione da approfondire per i giudici.
Storie di vittime da social
Spulciando tra le cause legali si leggono vicende davvero terribili. Una causa è incentrata su una ragazza della Louisiana, Englyn Roberts, suicida a soli 14 anni nel 2020. Secondo la causa depositata a luglio, Englyn veniva “bombardata su Instagram, Snapchat e TikTok da immagini e video dannosi”, inclusi “contenuti violenti e inquietanti che inneggiavano all’autolesionismo e al suicidio.
Catturata l’attenzione della ragazza, l’algoritmo le avrebbe suggerito sempre più contenuti simili che hanno finito per spingerla in un circolo vizioso. Risultato? La piccola ha iniziato a scambiare contenuti autolesionisti con i suoi amici (altre potenziali vittime). Tra questi, nel settembre 2019 un video inquietante di una donna impiccatasi con una prolunga elettrica: i documenti sono agli atti del processo.
Ad agosto 2020, Englyn imitò quel video, usando una prolunga per impiccarsi: il trasporto d’urgenza in ospedale non bastò a salvarle la vita. Circa un anno dopo, la fuga di notizie dell’informatrice Frances Haugen ha dato al suo papà il coraggio di controllare gli account social di sua figlia, ed ha iniziato a ricostruire tutto, scoprendo contenuti e messaggi suicidi.
“Ciò che è diventato chiaro nel settembre del 2021 è che la morte di Englyn è il risultato diretto del danno psichico causato dal suo uso di Instagram, Snapchat e TikTok”, si legge nella causa.
Come le vittime dell’amianto
Bergman, esperienza pluriennale nel difendere le vittime di esposizione all’amianto, non fatica a trovare similitudini anche con le vittime da social. “Anche loro sono esposte inconsapevolmente ad una sorta di tossina”, dice.
E anche loro finiscono in alcuni casi per morirne. Delle sei cause seguite, ben 4 sono intentate da genitori di ragazzi che si sono tolti la vita.
Ormai dovrebbe essere chiaro che i social media possono essere estremamente dannosi, persino mortali. Se voi o qualcuno che conoscete sta lottando con pensieri suicidi, chiedete aiuto. Di fronte a cose del genere non si può fare swipe e andare oltre.