Un modello di intelligenza artificiale basato sul deep learning e "addestrato" su migliaia di mammografie può predire il rischio di avere il cancro al seno nei successivi 5 anni, e funziona meglio di qualunque altro modello.
Il nuovo modello ha "memorizzato" i risultati di oltre 90.000 mammografie e sa metterli in rapporto tra loro per identificare segnali minuscoli che l'occhio umano non vede.
Il risultato è la capacità di individuare dai primissimi momenti il 31% delle persone ad alto rischio di sviluppare un cancro dopo poco tempo. Se questa percentuale può sembrare bassa è bene ricordare che gli attuali modelli sono fermi al 18%.
"Dagli anni '60 i radiologi ci hanno mostrato come le donne abbiano diversi segni che dalle mammografie permettano di capire i rischi di avere il cancro al seno," spiega la coautrice della ricerca Constance Lehman. "Questi segnali possono rappresentare l'influenza della genetica, degli ormoni, della gravidanza, del peso acquisito o perduto, di una dieta, della lattazione. Ora possiamo leggere tutti questi segnali con una precisione mai ottenuta in passato".
Tutte uguali
Un altro punto di forza del nuovo modello di AI è nella sua identica accuratezza su tutte le diverse tipologie di pelle. Gli strumenti diagnostici hanno spesso mostrato punti deboli per il fatto che i dati adoperati provenissero in larga maggioranza da soggetti di pelle bianca: questo ha lo stesso tasso di successo su tutte.

La ricerca diagnostica basata sul l'intelligenza artificiale sta vivendo un vero e proprio boom: i modelli in campo imparano ad identificare sempre meglio una larga gamma di malattie, dall'Alzheimer al melanoma, passando per la depressione infantile.
Col passare del tempo la mole di dati raccolti dai mammografi di nuova generazione sarà sempre più incrociata con i modelli basati sul deep learning, migliorando esponenzialmente la capacità di diagnosticare una neoplasia fin dai primi stadi del suo sviluppo, spesso da ancora prima che si possa formare.
Il futuro, in altri termini, gioca a nostro favore.
La nuova ricerca è stata pubblicata sulla rivista Radiology.