Tecnologia e biologia si avvicinano da sempre, e in futuro il loro “incontro” sarà più ravvicinato che mai. Un futuro fatto di sensori così piccoli da sparire sotto la pelle, eppure capaci di percepire, comunicare. Trasmettere. Un futuro di carne e silicio in cui il corpo umano diventa una rete vivente di informazioni, un universo pulsante di dati.
Il sale della comunicazione
Immaginate un sensore di silicio grande quanto un granello di sale. Anzi, ancora più piccolo. Talmente minuscolo da poter essere impiantato nel corpo o integrato in un dispositivo indossabile senza che ve ne accorgiate nemmeno. Eppure, questo lillipuziano frammento di silicio racchiude in sé una potenza straordinaria: la capacità di rilevare eventi specifici e di trasmettere quei dati in tempo reale, senza fili, attraverso onde radio.
È questa la promessa dei nuovi sensori sviluppati da un team di ricercatori della Brown University, negli USA. Sensori che, nella loro infinitesimale grandezza mimano il funzionamento dei neuroni nel nostro cervello. Perché il segreto di questi dispositivi sta proprio in questo: la capacità di imitare la comunicazione cerebrale.
Quando il silicio impara dal cervello
“Il nostro cervello funziona in modo molto parsimonioso”, spiega Jihun Lee, ricercatore post-dottorato e primo autore dello studio pubblicato su Nature Electronics (che vi linko qui).
I neuroni non sparano continuamente. Comprimono i dati e “sparano” in modo sporadico, così da essere molto efficienti. Stiamo imitando quella struttura nel nostro approccio di telecomunicazione wireless.
Jihun Lee, Brown University
Proprio come i neuroni, questi sensori non trasmettono dati in continuazione. Inviano solo le informazioni rilevanti, quando necessario, sotto forma di brevi raffiche di impulsi elettrici. E lo fanno in modo autonomo, indipendente dagli altri sensori, senza doversi coordinare con un ricevitore centrale.
Il risultato?
Un risparmio energetico notevole e un flusso di dati più snello ed efficiente. “Facendo così, riusciremmo a risparmiare molta energia ed evitare di inondare il nostro hub ricevitore centrale con dati meno significativi”, sottolinea Lee.
In breve, questi sensori non sprecano risorse preziose in chiacchiere inutili, ma vanno dritti al punto, trasmettendo solo ciò che conta davvero. Un’eleganza comunicativa che, in un mondo sempre più saturo di informazioni, sembra quasi un lusso.
Sussurri sotto pelle, rivoluzioni all’orizzonte
Le potenzialità di questi sensori in silicio vanno ben oltre la mera efficienza energetica. La loro capacità di integrarsi perfettamente con il corpo umano apre scenari che fino a ieri sembravano pura fantascienza. Immaginate di avere sotto pelle una rete di sensori che monitorano in tempo reale i vostri parametri vitali, che rilevano anomalie o cambiamenti impercettibili, che comunicano con i vostri dispositivi medici o con il vostro smartphone.
Brutta prospettiva quella degli impianti? E se una rete di sensori in silicio diventasse così piccola da poter essere spruzzata, ancor prima che impiantata. Sul corpo, su un oggetto, su una superficie. O ancora, pensate a dispositivi indossabili che, grazie a questi sensori, diventano estensioni naturali del vostro corpo. Che percepiscono i vostri movimenti, le vostre emozioni, i vostri bisogni, e vi offrono un’esperienza di interazione con la tecnologia sempre più intuitiva e personalizzata.
Sono solo alcuni dei possibili scenari che questi minuscoli sensori potrebbero dischiudere. Scenari in cui la barriera tra biologico e artificiale si assottiglia sempre di più, fino quasi a scomparire. In cui la tecnologia non è più qualcosa di esterno e alieno, ma diventa parte integrante di noi stessi.
Silicio, il futuro è sempre più presente
Siamo sempre e solo agli inizi di questa rivoluzione. I sensori in silicio della Brown University sono l’ennesimo primo passo verso una strada che conosciamo bene.
Una strada che porta verso un domani in cui la tecnologia non sarà più solo uno strumento, ma una parte integrante di ciò che siamo: umani. Perché cosa c’è di più umano che imparare, adattarsi, evolversi? Cosa c’è di più umano che abbracciare il cambiamento, sfidare i limiti, esplorare nuove frontiere?