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Immaginate un quartiere futuro, non vi dico in che anno. Da un lato, persone col caschetto attraversano su due ruote una pista ciclabile: alcuni consegnano fiori (o sono panini, non vedo bene), altri vanno al lavoro in camicia, con la giacca nel cestino davanti. Dall’altro lato della strada i tavolini dei ristoranti su un ampio marciapiede. In mezzo, una corsia dedicata alle auto: quasi tutti taxi elettrici che fanno la spola, e un autobus che ogni 10 minuti collega il quartiere con altri simili in tutta la città. Auto parcheggiate in strada? Zero.
Questo potrebbe essere il quartiere di un futuro non lontano se affronteremo una questione importante e irrisolta: lo spazio che sprechiamo per i veicoli individuali. C’è circa un miliardo di automobili nel mondo: quasi 300 milioni nei soli USA, poco meno in Europa. In Italia ce ne sono 37 milioni, una ogni 1,65 abitanti. Nel 95% del tempo, l’auto media rimane inutilizzata in un box, in un vialetto, o sul marciapiede in strada.
Non è solo un disastro economico (le auto sono tra le cose più costose che le persone possiedono) ma è anche un gigantesco spreco di spazio, a danno della qualità della vita e del pianeta.
Un’alternativa? Condividere. DAVVERO.
Negli ultimi decenni le aziende private che forniscono trasporto pubblico ai clienti sono cresciute. La gente ora può aprire un’app, avvicinarsi a un veicolo parcheggiato, sbloccarlo col telefono e pagare solo per il tempo passato alla guida. Il car sharing che conosciamo oggi non risolverà il problema del cambiamento climatico né renderà le città più vivibili, ma potrebbe portarci al livello successivo.
Un giorno nelle città le auto in car sharing saranno più numerose dei proprietari di auto. Ci vorrà del tempo, certo, ma principalmente serviranno cambiamenti politici coraggiosi e disincentivi all’auto privata.
Un servizio, non un bene
Oggi le auto sono un elemento necessario alla vita quotidiana di molte persone nnel mondo: sono gioia e dolore, offrono comodità ma diventano anche una condanna per le spese e le difficoltà di parcheggio nei luoghi affollati. Il carsharing del futuro prenderà solo i lati positivi, azzerando completamente gli svantaggi. E cambierà faccia al contesto in cui viviamo.
Integreremo il car sharing in una vita altrimenti senza auto. A seconda del giorno, cammineremo o useremo i mezzi pubblici, andremo in bicicletta o in scooter, o fermeremo un taxi per andare dove ci serve.
È la promessa di un’economia di condivisione basata sui servizi, non sui beni. Se un’auto (costosa) può essere condivisa tra tanti, smette di essere un prodotto, e diventa un servizio. Non importa più cosa sia: importa ciò che fa.
Non è una tendenza destinata a cambiare, quella della subscription economy. Le società di car sharing continuano a crescere fortemente. Un sondaggio promosso da Turo, uno degli operatori di settore, mostra che il 13% dei suoi attuali clienti non ha un’auto, e il 17% non prevede di comprarne una nei prossimi 5 anni.
Car sharing: siamo in pieno decollo
La pandemia, non mi stancherò mai di ripeterlo, ha accelerato molte tendenze, e ha messo a nudo alcuni bisogni primari che erano schiacciati dalla nostra quotidianità. Uno su tutti il bisogno di muoversi “leggeri”. Nuovi modelli di business e nuove esigenze di conciliare la vita, gli spostamenti, il lavoro.
Entro il 2040 una ricerca di BloombergNEF prevede che negli USA i veicoli condivisi saranno oltre 70 milioni. È solo l’inizio.
Operatori come Zipcar, Getaround, Turo, Car2Go, Ubeequo ed altri si sovrappongono nelle città del pianeta e nelle aree con alta densità abitativa. Le città sono il terreno di scontro, dove i nodi di traffico e popolazione stanno arrivando tutti al pettine.
La resa dei conti si avvicina: da lì, la strada sarà tutta in discesa.
Anche per l’ambiente si spera: i vantaggi ambientali del car sharing sono molto maggiori della semplice riduzione delle emissioni nocive delle auto.
Aumentare l’uso del trasporto pubblico per decarbonizzare il settore dei trasporti in generale è un punto di discussione frequente tra gli ambientalisti. L’industria dei trasporti è in assoluto una delle maggiori fonti di emissioni: allontanarci da una cultura incentrata sulle automobili (si, anche quelle elettriche) ha conseguenze enormi.
Il car sharing sarà la porta di accesso alla futura mobilità.
La trasformazione delle città
Gli utenti del trasporto pubblico producono meno traffico, e la riduzione dei parcheggi porta a ottimizzare ancora di più l’edilizia nei centri storici. Tutto quello spazio lasciato libero dai parcheggi si trasforma in ristoranti, servizi, uffici anche pubblici. Il risultato? Un uso ancora minore dell’automobile. In altre parole, il car sharing ha il potenziale per iniziare un circolo virtuoso.
Dopotuttto, cosa c’è che non va in una città dove si hanno più possibilità di divertimento, shopping e ristorazione?
Gli esempi sono già tanti, dal plan velo di Parigi ai “Superblocchi” in Spagna, passando per i chilometri e chilometri di strade restituite ai pedoni a Seattle. Possiamo seriamente dare il via a tutto scoraggiando le persone alla proprietà di auto private, e incentivando il ricorso al car sharing.
Tre mosse, ma radicali: uno, prezzi dei parcheggi alle stelle con introiti riversati sul trasporto pubblico. Due, una corsia dedicata al car sharing e ai veicoli elettrici. Tre, incentivi di ogni genere al trasporto multimodale.
Cos’è? Praticamente il Netflix degli spostamenti. Servizi in abbonamento (come quello della startup finlandese MaaS Global) offrono accesso ad autobus, treni, taxi, bici e auto in car sharing ad un canone mensile fisso. Bingo.
Quanto è lontano questo futuro?
Il limite è politico e culturale, come spesso accade. Per tante persone ha ancora un valore troppo elevato anch il semplice fatto di possedere un’auto, anche se non la si usa. È un serpente che si morde la coda: il car sharing migliorerà le città, ma finché le città sono fatte così male ci sono autentici “deserti” urbani lontani dal centro e poco serviti dai mezzi pubblici.
Per chi abita lì e va al lavoro non c’è alternativa all’auto: immaginate persone così, già costrette a perdere due ore nel traffico ogni giorno, colpite anche da un aumento dei parcheggi.
Le cose però cambieranno in fretta.
Per la Generazione Z la nozione di proprietà non è così importante come per noi generazioni precedenti. Che si tratti di una casa o di musica o di vestiti o di automobili, vivono a loro agio un’economia nella quale si punta a “possedere” davvero solo una cosa, la più importante di tutte: il proprio tempo.
Ebbene, sarà la Generazione Z a decretare la fine del mito dell’auto di proprietà. Del passaggio “rituale” all’età adulta con la prima auto. Dell’ossessione ad usare un’auto anche per andare all’edicola vicina. Non poosso dirvi l’anno, ma di certo i nati tra il 1995 e il 2010 vivranno in uno di quei quartieri che vi ho descritto all’inizio.
E forse saranno un po’ più felici.